Julian Barnes, “Il senso di una fine”

Quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni. Tony Webster, inglese in pensione, lo impara a sue spese, quando un evento inatteso lo trascina in un vortice che lo costringe a rivangare il suo passato e i ricordi della giovinezza.

Comodamente accomodato nel tramonto della sua esistenza, che lui stesso definisce “nella media”, il protagonista riceve in eredità il diario del suo brillante amico di gioventù, Adrian, morto suicida a vent’anni. Per Tony, entrare in possesso di quelle pagine assume una dimensione molto più significativa rispetto al desiderio di dare un senso alla fine di Adrian, fino a diventare una questione che si riflette sulla sua intera vita, sul tempo passato e sui ricordi.

Il ricordo non è infatti null’altro che una versione di ciò che ricordiamo di aver vissuto? Una fosca immagine del passato solo parzialmente illuminata dall’interpretazione che abbiamo deciso di associarvi?

Alla luce di queste considerazioni, Tony adulto ripercorre gli anni della gioventù, e lo fa mettendo in guardia il lettore: la vita non è che una storia che si racconta.

Parla di quando era al liceo e prendeva la vita con scanzonata leggerezza, dei suoi amici e di Adrian, il più ammirato da tutti. Di quando tutti aspettavano di essere liberati dal recinto della scuola nel pascolo della vita, per poi accorgersi che, in realtà, si è solo liberati in un recinto più grande. Di quando volevano vivere le passioni della letteratura: coraggio, amore, disperazione ed estasi, constatando poi però come il passare del tempo finisce per scambiarle con i meno eccitanti realismo e senso di responsabilità.

Adrian, togliendosi la vita, è rimasto giovane e non ha subito “la meschina pochezza dei compromessi della vita adulta”. Tony, invece,  è un uomo in pensione con alle spalle una vita senza infamia e senza lode. E ora Adrian ritorna con tutta la sua forza, attraverso il diario. E attraverso Veronica, la donna che lo ha lasciato per Adrian, e che ora irrompe nella sua vita trincerandosi dietro un muro di silenzio.

Perché? Cos’è successo davvero nella vite dei tre, prima del tragico evento? Il finale, seppur destabilizzante (e forse un po’ da soap opera) chiuderà il cerchio facendo vedere a Tony la sua intera esistenza, le sue scelte e l’impatto che hanno avuto sulla sua vita e quella degli altri con occhi completamente diversi.

Questo libro non è facile. È fatto per lasciare un segno profondo. Perché davanti a domande come “la mia vita è un accumulo di cose o è una crescita?”, una della problematiche che il suicida si è posto, si rischia di impantanarsi nel tentativo di fare bilanci azzardati su se stessi.

Lo scorrere del tempo, che passa e si trasforma, è certamente il tema centrale di questo libro. Tanto che l’inesorabile ticchettìo è percepito al punto che risulta davvero difficile scorrere le pagine senza sottolineare una frase, una parola, un concetto, per fissare la sua preziosità nella mente, prima che lo scorrere stesso della lettura trasformi gli innumerevoli spunti sul senso della vita in un ricordo modificabile e meno tangibile.

2 commenti
  1. E’ lì che mi guarda sul tavolo fra i libri presi per la lettura estiva…il tuo post mi conferma che sarà un’ottima lettura…

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